The late Debussy
Les 12 Etudes
La grande spinta avanguardia delle 12 Etudes di Debussy trae diretta ispirazione da un’altra fonda- mentale esperienza della storia della scrittura pianistica: i due cicli di studi op. 10 e op. 25 di Frédéric Chopin. Sebbene agli inizi della Grande Guerra il suono del pianoforte gli fosse “divenuto odioso” su richiesta del suo editore Durand, Debussy si avventura nella revisione delle opere del compositore polacco, traendone uno stimolo creativo talmente forte da arrivare a concepire e terminare i due libri delle Etudes nella sola estate del 1915. in un momento di febbrile attività compositiva che lo porta a completare anche la sonata per violoncello e pianoforte, e quella per flauto, viola e arpa. Seguendo il modello chopiniano. le Etudes si dividono in due libri di sei brani ciascuno, nei quali all’individuazione di particolari difficoltà tecnico-esecutive più tradizionali (come l’uso delle cinque dita, dei passaggi in doppie terze, seste e ottave), si affiancano. soprattutto nel secondo volume, alcune speculazioni dedicate anche a dei gesti e timbri pianistici innovativi, ma tipici del suo stile, come le doppie quarte. gli “arpeggi composti'" e le “sonorità opposte”. Tuttavia. gli Studi di Debussy non sono strettamente incentrati sulla risoluzione di particolari problematiche pianistiche. poiché gli intervalli che utilizza, le cinque o le otto dita, o ancora gli arpeggi composti sono prima di tutto degli oggeti sonori di cui egli va ad indagare le possibilità compositive. Un chiaro esempio di questo atteggiamento è costituito dal brano in apertura della raccolta “Lo Studio per le cinque dita- d’ Après Monsieur Czerny“, nel quale il gesto del più classico esercizio per l’indipendenza delle dita è privato del suo retaggio didattico ed acquista una dimensione più nobile: l' atteggiamento di Debussy è molto simile a quello adottato nel Doctor Gradus ad Parnassum, in cui era Clementi ad essere oggetto dello stesso trattamento e in cui il pianista e compositore ormai adulto si volgeva affettuosamente indietro al periodo in cui anche gli ha fatto gli esercizi di tecnica pianistica più elementari. L'effervescenza e la vivacità di questo inizio lasciano presto posto al fluire sinuoso e omoritmico delle melodie dello Studio per le terze, che si sviluppano dapprima nella parte medio-grave della tastiera, per poi diventare via via la più acute; il flusso è costante, imperturbabile e ipnotico. e soltanto nella penultima pagina sgorga dalle profondità di questo agglomerato sonoro una melodia danzante, che culminerà in un finale molto sonoro e vigoroso. Quanto mai varia è la struttura formale dello Studio delle quarte, in cui il fascino delle melodie orientaleggianti si accompagna con quel senso di distaccata perfezione che è insito nell' intervallo di quarta giusta, che Debussy usa molto di più delle sue varianti diminuita ed eccedente; anche in questo caso la direzione complessiva porta ad un picco della tensione, ma la fine non è più esplosiva come nel brano precedente: il suono si diluisce e la sua inerzia decade progressivamente , per poi estinguersi nel silenzio più totale. Da questo silenzio prende vita lo studio per le seste, in cui ritorna quella componente omoritmica già presente nel secondo brano che acquista una certa solennità soprattutto nella sue sezioni iniziale e finale. La gioia e la danza sono, invece, alla base di quella grande sfida virtuosistica che è lo Studio per le ottave, che rende evidente la scelta di un percorso che porta al progressivo ampliamento dell' intervallo, per raggiungere la massima apertura in corrispondenza dell’ apice dinamico del primo libro del ciclo. ln conclusione alla prima metà della raccolta non vi è, tuttavia, il liberatorio strappo finale in quartina di biscrome dello studio per le ottave (simile a quello fina le del Golliwog ’s Cake-Walk), ma lo sfuggevole Studio per le otto dita: si tratta di un procedimento tipico di Debussy (al quale rinuncerà per la fine del secondo libro), che tende a giocare sul distacco dall' oggetto sonoro tramite un intellettualismo nel trattamento dei materiali musicali che anestetizzano l' emotività creata precedentemente. Il motore di questo brano è costituito dal perpetuum mobile delle quartine di biscrome, che descrivono rapidissimi motivi ascendenti e discendenti, ampie scale, brevissimi trilli, tremoli e sonori glissando che soltanto poco prima della fine lasciano anche posto ad un'ambigua melodia, inglobata nel moto generale che ancora non si è esaurito e che, al contrario, accelera progressivamente fino a raddoppiare letteralmente la sua velocità nella penultima battuta. Lo Studio per i grandi cromatici, posto all' inizio del secondo libro, sembra prendere le mosse dalla fine di quello precedente, sicuramente per il tono scherzoso con il quale comincia, oltre che per la ripetizione delle quartine, unità di misura che i due brani hanno in comune; in questo studio Debussy indica frequentemente dei crescendo, spesso molto repentini, che non sfociano mai in un liberatorio forte, ma in piano, deludendo le aspettative dell' ascoltatore, proiettato a questo punto in una nuova ripartenza, che culminerà ancora in un nuovo inizio. L' atmosfera che Debussy suggerisce per lo Studio per gli abbellimenti, e non tanto la sua forma, è quella di una barcarola italiana, che culla l'ascoltatore tramite il suo moto ondeggiante e placido. Molto misterioso ed interrogativo è l'inizio dello Studio per le note ripetute, in cui il gesto pianistico ancora un a volta in quartina rimbalza per tutta l'ampiezza della tastiera, descrivendo forse l 'operato di un piccolo, ma furbissimo. "Scarbo'' debussiano, che non è maligno quanto l'originale di Maurice RaveL L' apice della ricerca compositiva di tutta la raccolta è sicuramente lo Studio per le sonorità opposte, in cui l' esoterico Debussy si interroga sul concetto di opposizione; essa è presente inizialmente tra i registri della tastiera e successivamente nelle dissonanze (le prime due note sono distanti soltanto di un semitono), le enarmonie (Sol # e La b), le differenti dinamiche e timbriche regolate dall' attacco del tasto. che assume, all' interno di questo pezzo, un'importanza ancora più grande del solito. Da una piccola cellula melodica pentatonale polare sul La b si origina lo Studio per gli arpeggi composti, nel quale l'arpeggio come oggetto sonoro instaura un moto elegante e sinuoso che, nel- la seconda parte, lascerà posto anche al gioco e alla danza. per poi ritornare nello stato d'animo iniziale, anche se questa volta l ' arpeggio sfocerà nel silenzio, Lo Studio per gli accordi, finale della raccolta. Rompe drammaticamente il silenzio e si impone all'ascoltatore trascinandolo nella sua danza dettata da un im- pulso ritmico marcato da frequenti accenti e sincopi che la rendono ancora più incisiva: la seconda parte del brano ci permette di giudicare a posteriori tutte le esperienze musicali vissute nel corso degli altri studi, poiché rappresenta un vero e proprio momento di crisi, che forse fa anche affiorare il disagio di una civiltà scossa dalla guerra. oltre a palesare una componente legata alla morte che era presente in tutti gli altri studi, anche se celata e nascosta. Nella seconda parte del brano finale si entra in un momento non soggetto allo scorrere del tempo, in cui ogni avvenimento musicale è staccato dal precedente e dal successivo, rendendo impossibile l 'individuazione di un filo logico; tuttavia, questo spaesamento è dovuto a una precisa volontà che sta all'opposto della disorganizzazione, poiché è necessario un ordine rigidissimo per ottenere un disordine. È questo probabilmente un equivalente musicale del "flusso di coscienza" di James Joyce, in cui ci si trova all’ interno dei pensieri di un personaggio che, in quanto tali, sono sconnessi e spesso non organizzati grammaticalmente e logicamente. Nel nostro caso. si entra nella mente creatrice di Debussy, nell'atto stesso della composizione. in cui delle possibili soluzioni formali e musica li sono dapprima tentate e poi accantonate, per poi passare ad altre idee che ad un certo punto, apparentemente per caso (in realtà sotto l'attenta supervisione del nostro autore), ci riportano al movimento di danza iniziale, che concluderà sonoramente e affermativamente le 12 Etudes.
Axel Trolese
Nato a Genzano (RM) nel 1997 si è diplomato al Conservatorio “Monteverdi” di Cremona sotto la guida del M° Maurizio Baglini perfezionando lo studio del pianoforte all’Accademia nazionale di Santa Cecilia con Benedetto Lupo e al Conservatorio Superiore di Parigi con Denis Pascal; attualmente prosegue gli studi s con Louis Lortie presso la Queen Elisabeth Music Chapel di Waterloo. Interprete appassionato della musica francese, nel 2016 le ha dedicato il suo primo disco “The Late Debussy: Etudes & Epigraphes Antiques”, recensito positivamente su Repubblica, Musica, Amadeus, il Giornale della Musica e il Corriere dello Spettacolo. Premiato in numerosi concorsi internazionali Axel Trolese si è esibito in molte sale da concerto, tra cui l’Auditorium Parco della Musica di Roma, il Teatro La Fenice di Venezia, la Salle Cortot di Parigi, il Ministero della Cultura Francese, la Millennium Concert Hall di Pechino, il Quirinale, l’Abbazia di Beaulieu nell’Hampshire, l'Amiata Piano Festival, l'Accademia Filarmonica Romana, il Museo di Belle Arti di Rouen, la Weimarhalle di Weimar e la Fazioli Concert Hall di Sacile. Attualmente é ocente di Pianoforte presso l'Istituto Musicale Pareggiato "Lettimi" di Rimini. Alcuni dei suoi concerti sono stati trasmessi in diretta da Radio3, France Inter, Venice Classic Radio e Radio MCA. Ha suonato anche con orchestre quali la Jenaer Philharmonike e la Roma Tre Orchestra, lavorando con direttori quali Massimiliano Caldi, Markus L. Frank, Ovidiu Balan e Jesús Medina.Axel è apparso in un documentario realizzato da ARTE dedicato al compositore italiano Roffredo Caetani, interpretando alcune sue composizioni sul pianoforte gran coda Bechstein regalatogli dal suo padrino Franz Liszt. È il protagonista principale e pianista del cortometraggio “Danza Macabra” del celebre regista italiano Antonio Bido, ispirato all'omonimo poema sinfonico di Saint-Saëns.