Opere complete per chitarra
Un’immagine spesso aiuta a comprendere un periodo più di quanto riesce a fare un intero discorso; per questo motivo parto da un’incisione: un figurino di moda apparso sul Corriere delle Dame del 6 luglio 1807. Il figurino appartiene alla rubrica Moda d’Italia e presenta una giovane fanciulla seduta di spalle su di un muretto di ossianica memoria, contornato da una vegetazione ordinata, che da però l’impressione di essere selvaggia. La fanciulla è a figura intera, voltata di tre quarti con le gambe accavallate, ha un abito a vita alta che ricorda molto quello indossato da Carolina Bonaparte nel celebre ritratto marmoreo di Antonio Canova; un corpetto a quadrettini con uno scollo a V rende visibile una parte della schiena, mentre le spalle sono coperte da due corte maniche a soffietto che lasciano spoglie le braccia. Lo sguardo della fanciulla non è rivolto alla lettrice, ma i suoi occhi, posti al di sotto di una frangia di riccioli neri apparentemente ribelli, guardano verso un punto indefinito. La ragazza suona una chitarra. Sfogliando una rivista femminile ci si accorge che spesso l’atteggiamento assunto dalle modelle riflette due possibili comportamenti: riprodurre un modello di femminilità consono all’immaginario sociale (la donna-madre, ad esempio), oppure diametralmente opposto (la donna-maschio, androgina). A mio parere questi atteggiamenti sono entrambi già riscontrabili nel figurino da cui siamo partiti: una donna elegante, femminile, ma allo stesso tempo emancipata. D’altronde il Corriere delle Dame, fondato da Carolina Lattanzi nel 1804, ha rappresentato un momento significativo per la valorizzazione del ruolo svolto dalle donne nella società: i figurini di moda significavano la loro volontà di scoprire le tendenze presenti all’estero, e quindi esprimevano il loro desiderio di documentarsi, cosa che le lettrici potevano fare anche in campo politico, culturale e letterario attraverso gli articoli che trovavano ampio spazio sulla rivista: grazie anche al Corriere delle Dame si formarono quelle figure femminili che furono un importante volano per il prossimo Risorgimento italiano. A suo modo Emilia Giuliani rappresenta una figura particolare nell’universo femminile dell’epoca, come il figurino del Corriere delle Dame è in parte legata al ruolo tradizionale assegnato alla donna, ma in parte è molto più moderna, emancipata e a tratti quasi spregiudicata. Emilia Giuliani nacque a Vienna nel 1813, figlia del celeberrimo chitarrista e compositore Mauro Giuliani e della sua compagna Maria Anna Wiesenberger. Compagna, non moglie: quest’ultima’affermazione così ovvia ai nostri giorni, in realtà apre uno scenario complesso nella Vienna della Restaurazione di Metternich, molto cattolica e molto conservatrice: la maggiore libertà (anche etica) diffusasi con gli eserciti napoleonici subì una drastica limitazione dopo il Congresso di Vienna e dato che Mauro Giuliani era già sposato con Maria Giuseppa del Monaco (abbandonata con tre figli a Trieste), condannava Emilia (e con lei le sue tre sorelle) al rango, decisamente poco piacevole, di figlia illegittima. A corollario di questo quadro va detto che il successo di Mauro Giuliani a Vienna andò di pari passo con il cambiamento del clima etico: quello che veniva additato come un bigamo libertino certo non poteva più avere la considerazione di cui aveva goduto fino a quel momento e forse questo fu uno dei motivi che spinsero Giuliania rientrare in Italia. Nel 1824 lo vediamo a Napoli insieme a due figlie, Emilia e Maria (nata da un primo matrimonio della Wiesenberger e da Mauro successivamente legalmente adottata) e avvia Emilia alla carriera concertistica. Il 6 febbraio 1828 presso il Teatro Nuovo di Napoli abbiamo il debutto ufficiale di Emilia Giuliani: tenne infatti un concerto insieme al padre Mauro; si sarebbe potuto trattare dell’inizio di una nuova carriera concertistica, sulla scia della rinascita di quella paterna, ma il primo concerto di Emila coincise con l’ultimo del padre: Mauro Giuliani morì infatti il 7 maggio 1829 ed Emilia, ancora minorenne, venne affidata alla zia paterna Emanuela. Fino a questo momento le notizie relative ad Emilia sono state sempre collegate all’importante figura paterna, scomparso Mauro anche il reperimento di informazioni su una giovanissima concertista al debutto, virtuosa di uno strumento che stava uscendo dal suo periodo aureo e per di più donna diventa un’impresa difficile: per questo motivo il lavoro paziente e minuzioso di ricerca come Emilia dovette riscuotere un certo successo se tra il 1834 e il 1836 l’editore Giovanni Ricordi acquistò e pubblicò tutte le opere (eccetto una di cui parleremo più tardi) che sono presenti nella registrazione di Paolo Amico. Si tratta di un repertorio ben definito, quello delle variazioni su celebri brani operistici. Le scelte di Emilia sono ben precise: ad eccezione delle varizioni sul tema Non più mesta accanto al fuoco dalla Cenerentola di Gioachino Rossini e le Variariazioni su un tema di Saverio Mercadante, l’attenzione della compositrice punta in modo quasi esclusivo su Vincenzo Bellini. Da segnalare è la raccolta intitolata Belliniana articolata in sei diversi fascicoli che vennero messi in vendita separatamente – come era abitudine nel primo Ottocento – con una modalità molto simile all’attuale (almeno a fino qualche tempo fa…) vendita a dispense; Mauro Giuliani aveva pubblicato a suo tempo una raccolta intitolata Rossiniane e quindi è evidente come la figlia eleggesse il padre a modello del suo debutto editoriale. La scelta di questo autore porta a fare un riflessione. Fino agli Anni Trenta del secolo il successo di Rossini, Bellini e Mercadante rappresentava l’attualità teatrale dell’epoca e il repertorio di riduzioni e variazioni di celebri brani d’opera faceva tesoro dell’onda lunga del successo teatrale delle opere originali. Nel 1834-1836 Rossini aveva ‘tirato i remi in barca’, Bellini era passato a miglior vita da alcuni anni e Mercadante aveva deciso di decisarsi al più sicuro incarico di Maestro di Cappella del Duomo di Novara (sebbene continuasse a tenere ‘il piede in due scarpe’): i brani scelti da Emilia Giuliani potrebbero sembrare un po’ vintage, ma in realtà così non è. Si stanno ponendo le basi di quel lungo processo che portò alla formazione del canone delle opere di repertorio: accanto all’attualità di nuove opere (si pensi al fatto che Donizetti sta ancora componendo e da li a poco inizierà a farlo un tale Giuseppe Fortunino Verdi da Busseto) non si disdegna rappresentare successi del passato, che continuano ad essere quindi ascoltati e apprezzati e quindi richiesti dal mercato editoriale. La pubblicazione delle opere di Emilia Giuliani ci è di fondamentale aiuto, infatti le notizie relative alla sua successiva carriera concertistica (ma questo vale anche per quella precedente) sono assai essenziali: conosciamo data e luogo delle sue esibizioni, ma ben poco sappiamo sui programmi che eseguì. Ovviamente il suo era il ruolo della compositrice/esecutrice delle sue composizioni e quindi è immaginabile che la parte più importante nelle sue esibizioni consistesse propro in brani che lei stessa aveva composto. La sua carriera concertistica sembra riprendere dal 1839 tra Firenze e Roma, ma come mai abbiamo un lasso di tempo di circa tre anni tra le pubblicazione delle sue opere e il suo ritorno sulle scene? Ovviamente non si può nascondere che tale periodo sia oscuro a causa della mancanza di fonti e nulla impedisce che emergano in futuro nuoveevidenze di concerti tenuti in questo trennio, ma forse esiste anche una causa di carattare personale, meglio familiare. Nel 1835 Emilia è a Napoli dove vive in Vico Lungo Avvocatura n.52, in quell’anno nasce il suo primo figlio, Giovan Battista Mauro Carlo, avuto da Luigi Guglielmi, cantante e nipote dei più celebri Pietro Alessandro e Pietro Carlo: possiamo upporre che il nuovo ruolo di madre possa avere rallentato o interrotto la carriera concertistica di Emilia? Sicuramente, ma un periodo così ampio di silenzio mi fa credere che prima o poi la notizia di qualche concerto nel periodo emergerà. Parlavo all’inizio di una donna emancipata e a tratti spregiudicata e in effetti lo è stata anche nella sua vita familiare, in parte avvicinabile a quella paterna: Emilia divenne madre, ma non moglie, o meglio lo diventerà solo nel 1839 convolando a nozze con Luigi Guglielmi, dal quale aveva già avuto nel mentre un secondo figlio, Gaetano. Il biennio 1839-1840 è quello più intenso nella vita concertistica di Emilia, si segnalano quattro suoi concerti presso l’Accademia Filarmonica di Roma insieme all’arpista Marianna Creti De Rocchis, ma è a Firenze che Emilia ottine i successi più significativi. Nella capitale toscana Emilia Giuliani e suo marito stingono amicizia con il principe polacco Stanislaw Poniatowski e proprio nel teatro gestito da questo nobile, il Teatro Standisch, Giulia si esibirà il 25 giugno 1839 in un concerto che la vedràaccanto a Franz Liszt. Firenze non fu solo occasione di incontro con il celebre virtuoso ungherese, ma rappresentò il punto di partenza per una svolta significativa nella carriera di Emilia e del marito: fu proprio in questa città che venne pianificato il trasferimento della famiglia a Vienna. Per Emilia Giuliani si trattava non solo di ritornare nella propria città natale, ma anche e soprattutto di ripercorrere un tragitto già seguito dal padre anni prima: Emilia e Luigi arrivarono a Vienna nell’ottobre 1840. Come già dettonon si trattò di un trasferimento legato al caso, ma venne certamente anni prima : pianificato: Emilia riuscì a tenere un primo concerto a Vienna presso la Gesellschaft der Musikfreunde il giorno 8 dicembre 1841, la stampa diede spazio all' esibizione della figlia di Mauro Giuliani e sappiamo che Emilia eseguì oltre ad opere del padre anche un brano per chitarra e orchestra. Il 3 gennaio 1841 la stampa viennese diede notizia della pubblicazione presso l’editore Artaria dei Sei preludi per chitarra di Emilia Giuliani: un concerto in una delle sale più importanti della città, una buona copertura mediatica sulla stampa cittadina e la pubblicazione di una nuova raccolta presso il principale editore viennese: sono tutti elementi che ci fanno vedere come Emilia non avesse affidato al caso il suo trasferimento nella capitale dell’Impero.
I Sei preludi inoltre presentano caratteristiche molto diverse rispetto alle precedenti musiche edite a Milano: non ci troviamo più di fronte a composizioni legate al mondo del melodramma, bensì sono parte di una tradizione schiettamente strumentale che poco aveva a che fare con le arie e l’opera; qualcuno ha provato a stabilire un parallelo tra questi preludi e quelli pianisti di Chopin, a mio parere forse si tratta di un confronto un po’ troppo difficile da sostenere, ma questo non diminuisce la sostanza musicale di queste composizioni molto raffinate, tra le quali ha giustamente ottenuto una certa fama il sesto e ultimo preludio.
Con questa raccolta Emilia Giuliani prova che sapeva a cosa andava incontro: a un pubblico che aveva gusti musicali molto differenti da quelli italiani e inoltre era consapevole di dover reggere il confronto con il ricordo di suo padre Mauro, per questo si presentò al pubbico viennese con due credenziali molto precise: un nuovo tipo di repertorio e lo sfoggio nel suo primo concerto di quel virtuosismo che tanto ebbe parte nel successo paterno. Ma questa attenta e intelligente pianificazione non portò ai risultati auspicati: i tempi stavano cambiando e una serie di coincidenze mise subito in chiaro la situazione. Dopo il concerto di dicembre la stampa ebbe molti elogi per Emilia, ma ne ebbe meno per il repertorio per chitarra: si trattava della fase conclusiva dell’età dell’oro del chitarrismo ottocentesco: non siamo di fronte lla sua fine definitiva, ma i modelli di concertismo chitarristico stavano radicalmente cambiando. Due giorni prima dell’esibizione di Emilia, aveva tenuto il suo debutto viennese il chitarrista Giulio Regondi, che continuò ad esibirsi in città nei primi mesi del 1841: il suo stile era molto espressivo, molto più vicino alla sensibilità romantica, inoltre rifuggeva dal virtuosismo fine a sé stesso, il suo successo relegò Emilia tra i virtuosi considerati “musicisti d’assalto” e “ciarlatani del sentimento” bloccando sul nascere la sua fortuna concertistica a Vienna. Per Emilia Giuliani si apre quindi una nuova fase della sua carriera artistica: insieme al marito si lega alla figura del conte Johann Nàko, che diverrà loro protettore. Tra il 1845 e il 1846 si trasferiscono a Pest seguendo il nobile ungherese per spostare quasi subito la loro residenza nel paese di Nagykomlòs dove si trovava il castello della famiglia Nàko. Il conte aveva avviato un progetto culturale innovativo: aveva un proprio teatro e coinvolse direttamente tutta la popolazione del villaggio nella vita culturale della sua corte di provincia. Luigi Guglielmi, grazie alla propria esperienza nel mondo del melodramma, probabilmente soprintendette alla vita di questo piccolo teatro, nel quale si esibirono anche cantanti che calcavano abitualmente il Teatro alla Scala o il Teatro San Carlo e altrettanto probabilmente non mancarono occasioni perché Emilia si esibisse nella stessa sede. Il destino comunque non smise di accanirsi su Emilia e su suo marito: il conte Nakò morì improvvisamente nel 1848, un anno molto significativo per la storia d’Europa con conseguenze poco piacevoli per i musicisti (Wagner docet). Luigi Guglielmi tentò di rientrare in Italia per cercare di recuperare spazio come autore di melodrammi, ma l’astro nascente di Giuseppe Verdi rese vano questo tentativo; Emilia continuò la carriera di concertista: si era già esibita il 17 aprile 1847 presso la Redoutensaale di Pest, mentre l’ultimo suo concerto a noi noto ebbe luogo presso il Sommertheater di Buda il 25 settembre 1849. Si trattò dell’ultimo tentativo di ricominciare una nuova fase artistica, la vita di Emilia Giuliani fu caratterizzata proprio da questo incessante e caparbio tentativo di ricominicare, lasciandosi alle spalle la figura del padre, cercando un successo editoriale, rinnovando il proprio repertorio, facendo parte di un progetto culturale e filantropico forse troppo utopistico; spesso Emilia si trovò al posto giusto, ma nel momento sbagliato e le coincidenze della storia non la aiutarono nella sua vita. Una vita che si spense a Pest il 25 novembre 1850 e che oggi riscopriamo a tributo di una musicsta coraggiosa, capace e spregiudicata.
Paolo Amico
Chitarrista varesino nato nel 1983, intraprende gli studi musicali all’età di sei anni. Nel 1994 entra nella classe di chitarra del M°Giacomo Maruzzelli presso il Civico Liceo Musicale”R.Malipiero” di Varese, sotto la cui guida segue l’intero percorso di studi diplomandosi nel 2005 a pieni voti presso il Conservatorio “G.Cantelli” di Novara. In seguito segue corsi e masterclass di vari artisti, perfezionandosi principalmente con Emanuele Segre e Giulio Tampalini. Esordisce in pubblico nel 1998 e da allora le sue esibizioni hanno toccato diverse città italiane, suonando principalmente come solista in vari teatri e sale da concerto. All’attività solistica nel corso degli anni affianca anche quella cameristica. E’ titolare della cattedra di chitarra presso il Civico Liceo Musicale “Riccardo Malipiero” di
Varese; negli anni sono stati molti i suoi allievi che hanno brillantemente superato gli esami in conservatorio. E’ laureato in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Milano. Suona su di una chitarra costruita per lui dal maestro liutaio Fabio Schmidt.