Capolavoro della maturità, nonché opera di ragguardevoli proporzioni, il Trio in la minore op. 50 risale al biennio 1881-82 e si tratta dell’unico lavoro di Čajkovskij concepito per tale organico. Un paio d’anni innanzi, in una missiva a Nadežda von Meck - singolare figura di musa ispiratrice e mecenate ch’ebbe un ruolo centrale nella gestazione di non pochi lavori - il musicista russo aveva manifestato la propria avversione per siffatto genere cameristico. Alla donna, che gli domandava perché non avesse ancora intrapreso la composizione di un trio con pianoforte ed anzi implicitamente gliene richiedeva la stesura, Čajkovskij dichiarò di non poter esaudire quella pur garbata richiesta «in quanto ciò esorbita dalle mie possibilità». Ovviamente al compositore non difettavano certo le capacità sul piano meramente tecnico: egli dichiarava infatti la propria estraneità a quel tipo di formazione per ragioni di ordine timbrico. «Forse per la natura stessa del mio udito - precisava il musicista in quella lettera risalente all’ottobre del 1880 – mi riesce insopportabile l’associazione del pianoforte col violino e il violoncello»: L’ipersensibile Čajkovskij asseriva inoltre - con un pizzico di malcelato snobismo intellettuale - di nutrire perplessità sulla possibilità per i tre strumenti di amalgamarsi, «così che per me è un vero tormento ascoltare un trio». Domandandosi come potesse esistere «omogeneità tra strumenti ad arco e pianoforte» aggiungeva poi ancora con un quid di provocatorio esprit: «Il trio con pianoforte ha sempre qualcosa di artificioso», poiché «ciascuno dei tre strumenti suona non già quello che si addice al suo carattere naturale, ma quello che gli impone il compositore. E il compositore, assai spesso, arriva con fatica a distribuire le diverse parti della sua composizione tra i singoli strumenti». Naturalmente, essendo uomo colto ed intelligente, Čajkovskij non ignorava affatto l’esistenza di «molti trii di grande valore musicale» da tempo ormai stabili in repertorio, ma da ultimo finiva con l’ammettere perentoriamente di «non amare il Trio come forma». Ciò nonostante egli mutò poi radicalmente opinione e nel novembre del 1881 scrisse alla sua eccentrica benefattrice per annunciarle l’intenzione di misurarsi per l’appunto con quella forma che aveva reputato estranea ai propri orizzonti: accadde durante un soggiorno in Italia assieme al fratello Modest. «Quando saprà, carissima, che cosa compongo ora resterà stupita» scrisse Čajkovskij alla von Meck. «Ho deciso improvvisamente di avventurarmi in questo campo da cui mi ero tenuto finora lontano. L’inizio del trio è già abbozzato... spero con tutta l’anima che mi riesca...». Ai dubbi e al pessimismo subentrò un singolare fervore creativo; Čajkovskij ne proseguì rapidamente la stesura lavorando con accanimento sicché il Trio venne completato nel gennaio dell’anno successivo a Roma. La première ebbe luogo presso il Conservatorio di Mosca il 23 marzo di quello stesso 1882, nel corso di una cerimonia di commemorazione di Nikolaj Rubinštejn (a un anno dalla morte precoce), già direttore dell’Istituto medesimo e compositore di vaglia, nei confronti del quale Čajkovskij nutrì sincera amicizia e profonda gratitudine, nonostante taluni contrasti: pertanto la dedica del Trio in la minore all’illustre pianista, didatta e direttore d’orchestra - più ancora, ‘A la mémoire d’un grand artiste’ - appare non solo legittima, bensì quasi una sorta di riconciliazione postuma per quei dissapori che solamente in parte avevano offuscato un intenso rapporto di stima reciproca. Fu l’editore Jurgenson a dare alle stampe il Trio sul finire del 1882. Alla prima esecuzione dell’impegnativo lavoro - che avvenne in forma privata ed in assenza dell’autore - presero parte il violinista Jan Hrimaly, il violoncellista Wilhelm Fitzenhagen (dedicatario delle Variazioni Rococò) e il pianista Sergej Taneev. Quest’ultimo ebbe a dichiarare di averlo studiato «per sei ore al giorno per più di tre settimane»: data la complessità della parte pianistica non è difficile credergli. Ma anche sotto il profilo formale il Trio rivela non pochi motivi di interesse, a cominciare dall’inconsueto conio in due soli assai vasti movimenti della durata complessiva di una cinquantina di minuti. Il Trio s’inaugura dunque con un Pezzo elegiaco in regime di Moderato assai - forse uno dei vertici della sua ispirazione - la cui dolente espressività ben riflette il rimpianto per la recente scomparsa a Parigi del più anziano amico e collega (Čajkovskij era stato raggiunto dalla ferale notizia mentre si trovava a Nizza e subito si precipita nella capitale per assistere alle esequie presso la chiesa ortodossa di rue Daru). È il violoncello ad avviare la pagina, esponendo un tema intriso di afflizione, subito ripreso dal violino - e destinato a riapparire in chiusura del Trio - mentre il pianoforte distende un arabescante festone di arpeggi in crome. La pagina si fa quasi subito tempestosa culminando in un Allegro giusto dagli iterati accordi. Quindi si placa indugiando nel cantabile, poi emerge una scheggia di Adagio con duolo e nuovamente si rianima. Nella sezione dello sviluppo prevale una certa concitazione, zone appassionate si alternano infatti ad alcune plaghe di maggior distensione. A tratti il brano assume uno spessore quasi sinfonico, ma in chiusura riguadagna il clima estenuato e languido dell’inizio, regalando istanti di innegabile suggestione. Il secondo movimento, in forma di variazioni, si apre con un tema cantabile, quasi una romanza senza parole adagiata nella limpida tonalità in mi maggiore; subito si sprigiona un’aura di pacata serenità destinata a perdurare ancora nella prima variazione, animata e scorrevole, laddove la seconda vede incresparsi la parte violinistica. Crepitante, quasi umoristica, la terza si presenta interpuntata da pizzicati e deliziosi arpeggi pianistici, in antitesi con la successiva (in do diesis minore) percorsa da un fremito di nostalgia. Se la quinta (in do diesis maggiore) sfoggia iridescenti sonorità da carillon e un tenue alone naïf, la successiva è un amabile Valzer, armonicamente screziato, prossimo a certi passi della Serenata per archi op. 48. Un tono epico, a tratti cavalleresco, s’aderge nella settima dai vigorosi concatenamenti accordali, cedendo poi ad una vera e propria Fuga (ottava variazione) dalla solida scrittura e dalle robuste sonorità, suggellata infine da una trionfante coda. Per contrasto la nona (Andante flebile) si presenta sognante; il violino esala accorati sospiri dialogando col violoncello sui liquescenti arpeggi pianistici. Poi i conversari s’interrompono con dolcezza conducendo alla decima variazione, un’incalzante Mazurka nella remota tonalità di la bemolle dai vaghi echi chopiniani, quindi l’undicesima, dai colori ambrati, disvela un delicato lirismo, stingendo infine su remoti rintocchi. Con l’articolata dodicesima variazione ha inizio la parte conclusiva del movimento (Finale e Coda), quasi un blocco a sé stante, secondo l’indicazione dell’autore. La scansione è assai rapida, quasi un virtuosisticoperpetuum mobile, l’atmosfera è infuocata, visionaria come in certe pagine di Schumann, sicché ogni singola cellula pare alimentarsi a una euforica ebbrezza. Poi inaspettatamente, ecco che si ripresenta il tema del movimento iniziale, proclamato a piena voce; la scrittura esalta vieppiù l’esasperata angoscia e il senso di tragico fatalismo. A concludere il superbo Trio intervengono tredici battute ancora (Lugubre): vera e propria marcia funebre dagli implacabili accordi pianistici, sui quali violino e violoncello sussurrano il loro sconfortato appello, destinato a restare privo di risposta. Da ultimo merita rammentare come, all’atto della pubblicazione, l’autore stesso abbia autorizzato due possibili ‘tagli’ al secondo e vastissimo movimento: ipotizzando la soppressione dell’intera ottava variazione (forse non del tutto soddisfatto della condotta polifonica) e di ben quattordici pagine su trenta complessive entro la Variazione finale e Coda che può avere inizio pertanto, facoltativamente, dalla ripresa.
TRIO DI PARMA
Alberto Miodini Pianoforte – Ivan Rabaglia Violino – Enrico Bronzi Violoncello
Il Trio di Parma si è costituito nel 1990 nella classe di musica da camera di Pierpaolo Maurizzi al Conservatorio “A. Boito” di Parma. Successivamente il Trio ha approfondito la sua formazione musicale con il leggendario Trio di Trieste presso la Scuola di Musica di Fiesole e l’Accademia Chigiana di Siena. Nel 2000 è stato scelto per partecipare all’Isaac Stern Chamber Music Workshop presso la Carnegie Hall di New York.
Il Trio di Parma ha ottenuto i riconoscimenti più prestigiosi con le affermazioni al Concorso Internazionale “Vittorio Gui” di Firenze, al Concorso Internazionale di Musica da Camera di Melbourne, al Concorso Internazionale della ARD di Monaco ed al Concorso Internazionale di Musica da Camera di Lione. Inoltre nel 1994 l’Associazione Nazionale della Critica Musicale ha assegnato al Trio di Parma il “Premio Abbiati” quale miglior complesso cameristico. Il Trio di Parma è stato invitato dalle più importanti istituzioni musicali in Italia (Accademia di S.Cecilia di Roma, Società del Quartetto di Milano, Amici della Musica di Firenze, Gran Teatro La Fenice di Venezia, Unione Musicale di Torino, GOG di Genova, Amici della Musica di Palermo, Accademia Filarmonica Romana…) e all’estero (Filarmonica di Berlino, Carnegie Hall e Lincoln Center di New York, Wigmore Hall di Londra, Konzerthaus di Vienna, Sala Moliere di Lione, Filarmonica di S. Pietroburgo, Teatro Colon e Coliseum di Buenos Aires, Los Angeles, Washington, Amburgo, Monaco, Dublino, Varsavia, , Rio de Janeiro, San Paolo, Lockenhaus Festival, Barossa e Melbourne Festival, Orta Festival…).
Ha collaborato con importanti musicisti quali Vladimir Delman, Carl Melles, Anton Nanut, Bruno Giuranna, Simonide Braconi, Alessandro Carbonare, Eduard Brunner e Guglielmo Pellarin; ha effettuato registrazioni radiofoniche e televisive per la RAI e per numerose emittenti estere (Bayerischer Rundfunk, NDR, WDR, MDR, Radio Bremen, ORT, BBC Londra, ABC-Classic Australia). Ha inoltre inciso le opere integrali di Brahms per l’UNICEF, di Beethoven e Ravel per la rivista Amadeus, Schostakovich per Stradivarius (premiato come miglior disco dell’anno 2008 dalla rivista Classic Voice) Pizzetti, Liszt, Schumann e Dvorak per l’etichetta Concerto e Schubert per la Decca, per l'etichetta Movimento Classical (diretta da Raffaele Cacciola) Tchikovsky "Trio in A minor , Op.50 ".
I componenti del Trio di Parma hanno un impegno didattico costante nei Conservatori di Novara, al Mozarteum di Salisburgo e al Conservatorio di Parma dove il Trio tiene anche un Master di Alto Perfezionamento in Musica da Camera. Ivan Rabaglia suona un Santo Serafino costruito a Venezia nel 1740 (gentile concessione della Fondazione Pro Canale onlus) ed Enrico Bronzi un Vincenzo Panormo costruito a Londra nel 1775.